- Quali differenze hai riscontrato nel lavorare su plastica rispetto alla carta?
Lavorare su plastica permette di avere una visione più chiara della matrice durante la stampa. Tuttavia, è un materiale difficile da gestire perché l’inchiostro tende ad attaccarsi rapidamente alla superficie. Inoltre, la resa su un supporto così leggero non è ottimale: è quasi impossibile riprodurre fedelmente qualsiasi immagine. Ma è proprio questa imperfezione a renderla unica. I buchi e gli squarci che si creano nell’immagine pongono una distanza tra essa e l’osservatore, come un velo che si interpone tra realtà e rappresentazione.
- In Ruins predominano campiture calde accostate al grigio-nero, mentre in Ruins Final il colore dominante è l’azzurro. Qual è il ruolo del colore in questo progetto?
I colori caldi evocano energia e movimento, perciò il loro legame con il fuoco, le esplosioni e le folle in fuga è immediato. Ruins Final, invece, trasmette una serenità apparente: è il momento successivo al caos della guerra. Non è una vera pace, ma piuttosto la sensazione di qualcosa che si dirada, come la nebbia dopo la tempesta. Il blu è il colore più calmo che esista, ed era perfetto per segnare questo stacco tra il conflitto e ciò che viene dopo.
- L’elemento materico ha un ruolo importante nel progetto? Hai sperimentato con trasparenze o sovrapposizioni?
L’elemento materico è sempre presente nel mio lavoro. Credo che, nel campo della grafica, sia essenziale parlare di materia. Ultimamente ho sperimentato diversi tipi di trasferimento, utilizzando corde, acetati e reti. In Ruins, la plastica non è solo un supporto ma anche un mezzo di trasformazione dell’immagine. Non si limita a riceverla, ma la trasferisce, creando un effetto di dissolvenza e stratificazione. Questo rende l’opera più complessa da osservare, perché impone all’occhio di andare oltre la superficie e percepire una profondità nascosta.